Prendere una decisione

By: Rosalba Mercurio
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Prendere una decisione
Decidere richiede impegno e responsabilità. Una riflessione sul prendere una decisione estratta dal libro di Irvin D. Yalom pubblicato sul sito Psychotherapy.net. A Matter of Death and Life: Love, Loss and What Matters in the End di Irvin D. Yalom, pubblicato da Stanford University Presso, ©2021 di Irvin D. Yalom e Marilyn Yalom. Tutti i diritti riservati.
Torpore, 50 giorni dopo
Il torpore persiste. I miei figli vengono a trovarmi. Passeggiamo nel quartiere, cuciniamo insieme, giochiamo a scacchi e guardiamo dei film in TV. Nonostante questo resto intorpidito. Non mi sento coinvolto nel giocare a scacchi con i miei figli. Vincere o perdere hanno perso di significato.
Ieri sera c’è stato nel quartiere un torneo di poker, mio figlio Reid ed io abbiamo partecipato. Era la prima volta che giocavo insieme a uno dei miei figli in un gioco di adulti. Ho sempre amato il poker, ma neppure questo gioco, ora, riesce a dissipare il torpore. Sembra depressione, lo so, ma nonostante questo avverto il piacere di vedere la felicità di Reid nel vincere 30 dollari. Camminando verso casa, ho immaginato come sarebbe stato arrivare a casa, essere accolto da Marilyn e raccontarle della vittoria di nostro figlio a poker quella sera.
La sera successiva ho provato un esperimento e ho messo una foto ritratto di Marilyn in vista nella stanza dove mio figlio, mia moglie ed io guardavamo un film in TV. Ma, dopo qualche minuto, ho sentito una tale stretta al petto che ho dovuto mettere via la foto di Marilyn. Il torpore continuava durante la visione del film. Dopo circa mezz’ora, ho realizzato che Marilyn ed io avevamo visto quel film diversi mesi prima. Perso l’interesse nel vederlo nuovamente, ma ricordando che a Marilyn era piaciuto molto, ho reso onore alla bizzarra idea che dovevo a lei il fatto di vederlo tutto per intero.
Ho notato che il torpore recede durante le prime ore del giorno quando sono immerso nella scrittura di questo libro e anche quando lavoro come psicoterapeuta.
Oggi, una donna sui trent’anni è venuta nel mio studio per una consulenza. Mi ha presentato il suo dilemma: “Sono innamorata di due uomini, mio marito e un altro uomo che frequento da un anno. Non so quale dei due sia il vero amore. Quando sono con uno dei due, sento come se fosse lui il mio vero amore. Quando sono con l’altro uomo sento la stessa cosa anche per lui. È come se volessi che qualcuno mi dicesse chi dei due è il vero amore”.
Lei ha ragionato sul suo dilemma a lungo. Nel mezzo della seduta, ha guardato l’ora e ha mi ha detto di aver visto il necrologio di mia moglie. Mi ha ringraziato per averla incontrata nonostante il difficile momento che stavo vivendo. “Mi preoccupa – ha detto – che la sto opprimendo con i miei problemi mentre lei sta soffrendo per una perdita così grande”.
“La ringrazio per queste parole – ho replicato – ma è passato un po’ di tempo e ho scoperto che mi aiuta sentirmi impegnato nell’aiutare gli altri. E anche che ci sono delle volte in cui proprio i problemi sorti dal mio lutto mi rendono capace di aiutare gli altri”.
“Come funziona – lei mi ha chiesto. Sta pensando a qualcosa in particolare che potrebbe essere di aiuto per me?”
“Non ne sono certo, mi ci faccia pensare un attimo. Vediamo… so che essere coinvolto nella sua vita temporaneamente nell’arco di questa seduta mi ha distratto dalla mia. Sto pensando inoltre al suo commento sul fatto di non conoscere il suo vero sé e che non sa quale di quei due uomini il suo vero sé desidera. Continuo a pensare all’uso che lei fa del termine “vero”. Sento che questo tema potrebbe essere marginale, ma seguirò la mia intuizione e le dirò cosa la nostra discussione mi suscita”.
“Per molto tempo ho sentito che un evento spesso risultava “vero” solo dopo che lo avevo condiviso con mia moglie. Ora, settimane dopo la sua morte, vivo questa strana esperienza che se qualcosa accade io sento di doverlo raccontare a lei. È come se le cose non diventassero “reali” finché mia moglie non ne viene a conoscenza. E, naturalmente, questo è completamente irrazionale perché lei non c’è più. Non so come mettere questa cosa in modo che possa essere di aiuto, provo così: io e solo io ho la piena responsabilità nel valutare la realtà. Mi dica, questo ha qualche significato per lei?”
Lei si immerse nei suoi pensieri e poi guardandomi disse “Questo in effetti mi dice qualcosa. Lei ha ragione se sta ipotizzando che io non mi fido del mio senso della realtà e che voglio che altri, magari uno dei due uomini o magari lei, lo decidano per me.
Mio marito è debole e fa sempre riferimento alle mie considerazioni, al mio senso della realtà. L’altro uomo è più forte, ha successo negli affari, molto sicuro di sé, con lui io mi sento al sicuro e più protetta, credo nel suo senso di realtà. So che è stato per molto tempo un alcolista e che ora negli Alcolisti Anonimi è sobrio da solo poche settimane. Penso che la verità sia che io non posso lasciare che nessuno dei due decida per me. Le sue parole mi fanno capire che è mio compito definire la realtà, mio impegno e responsabilità”.
Verso la fine della nostra ora insieme, ho ipotizzato che lei non fosse pronta a prendere una decisione e che avrebbe dovuto affrontare questo tema in profondità in una terapia più lunga. Le ho dato il nome di due eccellenti psicoterapeuti e le ho chiesto di scrivermi una mail dopo qualche settimana per dirmi come stava.
Lei, commossa dalla mia condivisione, mi ha detto che quell’ora era stata così significativa che non avrebbe voluto andarsene.
©2021 by Irvin D. Yalom and Marilyn Yalom.
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