Giornata Mondiale del Parkinson

By: Rosalba Mercurio
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Giornata Mondiale del Parkinson
In occasione della Giornata Mondiale del Parkinson 2021 ho riletto la storia di Michael J. Fox, l’attore canadese affetto dal morbo di Parkinson ad esordio precoce, condizione neurologica degenerativa.
- La storia di una malattia
- Trilogia
- Ottimista
- Il potere della resilienza
- Ottimismo, speranza, fede
- Lucky man? La crisi
- Eroi tutti i giorni
- Un ottimista realista
- La paura
- Accettazione e gratitudine
- Scelte
- Fondamenta
La storia di una malattia
Una patografia è quell’autobiografia che prende spunto dal fatto che la malattia irrompe nella vita di una persona e diventa l’occasione per dare una testimonianza della propria esperienza.
Patografie di personaggi noti ne vengono pubblicate molte. È un filone che trova diversi lettori oggi al punto che sono spesso le case editrici che propongono alla persona conosciuta la possibilità di raccontarsi a beneficio non solo del proprio pubblico di ammiratori, ma anche per tutti quei lettori che desiderano confrontarsi con qualcuno che abbia il loro stesso problema, sia come persona malata che come caregiver, familiare, amica di un malato.
Scrivere di sé è un’arte democratica e dunque anche molti, non famosi sentono spontaneamente il bisogno di raccontarsi, in cerca di un modo autoterapeutico per gestire il proprio dolore, per lenire la sofferenza e per comunicare con gli altri.
Sono memorie che non vengono pubblicate per il grande pubblico. L’autore può decidere di tenere per sé il suo scritto, oppure di rivolgerlo ai propri cari.
Trilogia
A Michael J. Fox il morbo di Parkinson venne diagnosticato all’età di 29 anni, nei primi anni ’90.
L’attore esce allo scoperto raccontandosi nel 1998 e poi scrivendo il suo memoir che viene pubblicato in America nel 2002. In Italia il suo libro intitolato Lucky man viene tradotto e presentato nelle librerie l’anno successivo nelle Edizioni TEA Collana Esperienze, una collana in cui venivano pubblicate storie di malattia di persone più o meno note.
Nel 2003 io ho trent’anni, compro subito la storia di Michael J. Fox e la leggo. Forse la compro perché lui è un attore famoso, forse perché ho visto i suoi film della serie Ritorno al futuro, forse perché sono attratta dal titolo o dalla simpatica foto ritratto in copertina. In verità il motivo non lo ricordo. Mi piace pensare che, come spesso accade, il libro mi avrà chiamata lui dallo scaffale, scegliendomi in quel modo misterioso in cui accadono gli incontri importanti nella vita.
Nella mia libreria compaiono altri libri di quella collana della TEA. Evidentemente erano gli albori del mio interesse per le autobiografie, prima di scrivere io stessa la mia storia e anche prima di studiare il genere e il metodo autobiografici per motivi professionali, cosa che è avvenuta qualche anno dopo.
A seguito di un trasloco ho quasi tutta la mia biblioteca stipata dentro degli scatoloni sparsi in tre case diverse. Da quasi un anno leggo perciò ebook e quando ho voluto riprendere la storia di Michael J. Fox è stato naturale andare su internet a cercarne la versione virtuale. Così facendo, ho scoperto che negli anni sono usciti altri due suoi libri, di cui non c’è la traduzione italiana. Nel 2009, Always looking up: the adventures of an incurable optimist. Pochi mesi fa, alla fine del 2020, il terzo volume No time like the future: an optimist considers mortality.
Ottimista
La trilogia di Michael J. Fox è un’autobiografia che copra praticamente tutto l’arco della sua vita, fino a oggi, fino alla pandemia. In questo senso va oltre la patografia, in quanto tocca molti temi, non solo il racconto della malattia. Anche se certamente il morbo di Parkinson ha un ruolo centrale, è un protagonista molto presente da ormai trent’anni e fra l’altro non l’unico problema di salute di Fox.
La lettura di questa storia suddivisa in tre volumi distinti scritti a distanza di circa dieci anni l’uno dall’altro, dà il senso della crescita e dell’evoluzione di quest’uomo che raggiunti i 60 anni porta uno sguardo sul suo percorso che diventa via via più riflessivo e introspettivo.
La storia di Michael J. Fox è una storia di scelte, di adattamenti, di compromessi, di perdite e sacrifici dovuti alla malattia. Ma è anche la storia di un uomo che si dichiara fin dall’inizio un ottimista che coglie sfide e opportunità negli eventi buoni e in quelli avversi, che sa riconoscere con gratitudine le proprie fortune, nonostante le sfortune, che riconosce i doni che ha ricevuto dalla vita nonostante e grazie la malattia.
E’ anche la storia di un uomo che ad un certo punto molla la presa, stanco e stufo delle fatiche quotidiane e di sempre nuove difficoltà e problemi che minano la sua salute. Un uomo che va in crisi, mettendo in discussione sé stesso e la sua identità di persona ottimista.
Il potere della resilienza
A 58 anni Michael J. Fox si fa tatuare sul braccio una tartaruga, in onore e ricordo di quella che durante un periodo di vacanze di quasi vent’anni prima, aveva incontrato in mare e con cui aveva nuotato fianco a fianco in tranquillità. Quella tartaruga, simbolo di resilienza, che con una pinna danneggiata e una cicatrice sul becco, nonostante tutto quello che aveva vissuto, si permetteva nella più assoluta indifferenza di nuotare in compagnia di un essere umano sulla barriera corallina. Per Michael J. Fox quell’incontro era coinciso con la decisione che avrebbe rappresentato il punto di svolta della sua vita, turning point, lasciare la carriera di attore a causa del peggioramento dei sintomi e di dedicarsi alla costituzione della Fondazione Michael J. Fox per la ricerca di una cura per il morbo di Parkinson.
La consapevolezza di dover cambiare la propria vita a causa della sua situazione di salute era stato il momento in cui l’attore non solo aveva deciso per un nuovo sé professionale, ma a livello più profondo aveva deciso anche di accettare la realtà della sua condizione. Cominciare a “rispettare la sua malattia” accogliendone i limiti e integrandola nella sua vita e nella sua identità e diventare parte attiva della comunità di persone ammalate del morbo di Parkinson avviando una fondazione per la raccolta di fondi e per la ricerca, sono state per lui le due facce della stessa medaglia.
Ottimismo, speranza, fede
Uno dei fili rossi della storia di Michael J. Fox è il fatto di essersi sempre sentito un ottimista, nonostante tutto. In Always looking up: the adventures of an incurable optimist riprendendo le parole del suo caro amico Chris Reeve, l’attore di Superman e che a causa di una caduta da cavallo era rimasto paralizzato, comincia a problematizzare il tema distinguendo fra ottimismo, speranza e fede, che considera le tre gambe di uno sgabello. Servono tutte per mantenerlo in equilibrio e non rischiare di cadere quando ci si siede sopra.
Mentre l’ottimismo è l’aspettativa che le cose andranno a nostro favore, la speranza è un ottimismo informato, un prodotto della conoscenza che si basa su dei fatti che possono trasformare il desiderio in possibilità. Il ruolo della fede è di ricordarci che non siamo soli.
Lucky man? La crisi
Nel terzo volume troviamo un ulteriore sviluppo della sua riflessione sull’essere ottimista e dunque sulla sua identità.
Nuove vicissitudini nel suo stato di salute, improvvise e impreviste difficoltà minano la sua fiducia. I quattro pilastri della sua esistenza, il lavoro, la politica, la spiritualità e la famiglia che lo hanno sostenuto da sempre, ad un certo punto sembrano non poterlo più aiutare. Il suo proverbiale sentirsi un uomo “fortunato”, lucky man, grato nonostante tutto di ciò che ha e di ciò che non ha o che ha perso, in una visione allargata sulla sua vita in cui riusciva a relativizzare quel che gli accadeva, trovando un nuovo senso al suo stare al mondo, lo abbandona per lasciarlo disarmato, denudato di fronte alla stanchezza, allo sconforto, alla demotivazione, privo della capacità di godere di ciò che di bello e importante, soddisfacente ha e ha ottenuto con tenacia nella vita.
Eroi tutti i giorni
Scelgo di sottolineare questo passaggio nel racconto di Michael J. Fox. Resilienza non vuol dire essere “eroi invincibili” di fronte alle difficoltà e alle sofferenze. Non vuol dire non avere momenti di sconforto e ripiegamento su se stessi. Momenti di tristezza e di depressione. È umano, è comprensibile e per certi versi “sano” avere, riconoscere e ammettere dei momenti e dei periodi di down, quando le circostanze si presentano fortemente contrarie. Le grandi avversità sommate alle fatiche quotidiane possono portare delle crepe anche nella tempra più resistente.
Per Michael J. Fox questo momento di crisi nella sua vicenda ha significato riconsiderare la sua situazione esistenziale, non solo la malattia, di mettere in discussione il suo rapporto di trenta anni con essa, interrogarsi sui di sé e sulla sua storia. Per fare tutto questo ha avuto bisogno di chiudersi, di ripiegarsi su se stesso, al proprio interno, e anche di farsi aiutare da un esperto della salute psicologica.
Un ottimista realista
Michael J. Fox pensa che il suo interrogarsi su un persistente ottimismo che è visione del mondo è un atto che deve anche alla comunità di persone ammalate che lo seguono e che trovano ispirazione dalla sua testimonianza. Per tutta la vita si è occupato delle problematiche del suo corpo. Ma ora occuparsi del suo fisico non gli basta più. Coglie l’occasione per prendersi cura anche della sua mente.
Il Parkinson gli ha fatto dono di molte cose, la comprensione della necessità di rallentare il ritmo, riprendersi il tempo, imparare l’umiltà rispetto al d’atto di riconoscere di aver bisogno di aiuto, ma gli ha anche portato via molte cose, il lavoro che amava, giocare a golf e tutti gli sport che praticava con entusiasmo in gioventù, la salute, l’autonomia, la fiducia, la positività.
“My name is Michael, and I am an optimist. But seriously, if optimism is my faith, I fear I’m losing my religion”.
La paura
Cosa c’è dunque da sentirsi ottimisti? Non sarebbe più corretto essere realisti? Guardare alla realtà delle cose per come sono?
“This is a new kind of thinking for me. Can you be an optimist and a realist at the same time?”
La sua crisi esistenziale è legata a questo. Le vicissitudini della sua esistenza sembrano ad un certo punto arrivargli addosso tutte contemporaneamente mandando in tilt il suo sistema di valori, su cui si basava la sua visione del mondo e della vita, il significato positivo che da sempre è riuscito a trovare in quello che gli è capitato.
L’incertezza del futuro lo attanaglia e lo spaventa. La paura prende il sopravvento. I pericoli sconosciuti lo paralizzano. Confusione, solitudine, vulnerabilità lo sorprendono per la prima volta.
Citando Franklin D. Roosevelt si rende conto che “Only a foolish optimist can deny the dark realities of the moment”, capendo che può accettare la sua parte ottimista ammettendone la sua parte folle.
Accettazione e gratitudine
Michael J. Fox con la maturità, dopo aver vissuto una crisi importante che aveva messo in discussione i suoi valori e il suo senso di sé, integra infine nella sua visione del mondo una prospettiva più realistica della sua condizione che sulla soglia dei 60 anni lo soddisfa in misura maggiore. E a questo punto della sua analisi, prende consapevolezza che almeno due sentimenti potevano aiutarlo a sostenere questo cambiamento di sguardo. L’accettazione e la gratitudine.
Scelte
Uscire dalla prostrazione per Michael J. Fox ha significato l’accettazione della sua condizione e un maggior dialogo con la sua malattia su ciò che gli è ancora consentito fare e su ciò che invece gli è difficile se non addirittura impossibile. Sente di avere nuovamente possibilità di scelta fra le opzioni rimaste (e sono molte) e dunque di avere maggiore controllo.
“The truth is, I don’t want to live like this, but I have found a way to accept the fact that I do.”
Fondamenta
Si rende conto che è la gratitudine alle fondamenta di quello che lui ha sempre considerato “semplicemente” come ottimismo. Quella sua capacità di sentirsi connesso con ciò che è andato bene, mettendo in secondo piano ciò che è andato male. Concentrandosi sulle vittorie e non sulle inevitabili sconfitte. Apprezzando i doni ricevuti dalla malattia e non solo le sofferenze. Puntando l’attenzione su di sé e non sulla somma dei suoi sintomi. Perché lui è altro dalla sua malattia, lui non è la sua malattia. Tutto questo è gratitudine.
Grazie a questa consapevolezza, la fiducia che era stata minata dalla paura, è tornata a risplendere.
“Dipende davvero tutto dalla gratitudine. Sono grato per tutto, ogni brutta pausa, ogni turno sbagliato, per le perdite inaspettate, perché sono reali. Grazie ad essa, prendono rilievo anche la gioia, i risultati, l’amore travolgente per la mia famiglia. Posso essere entrambi, un realista e un ottimista”.
A presto
Rosalba
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